Ecco perchè i pedagogisti sono a fianco di chi protesta

IL DECRETO ministeriale n. 137, la cosiddetta “riforma Gelmini”, ha introdotto, con un vero e proprio blitz di fine estate, profonde modificazioni nella scuola. E proprio mentre insegnanti e genitori a Bologna scendono in piazza vogliamo far sentire la voce dei pedagogisti. Intanto per dire che siamo al fianco di chi protesta. La stessa Facoltà di Scienze della Formazione dell’ Università di Bologna ha votato un documento in cui si chiede al ministro un profondo ripensamento. Il decreto, che prevede la modifica delle modalità di valutazione del comportamento e del rendimento scolastico degli studenti e l’ introduzione della figura dell’ insegnante unico nella scuola primaria, dovrà essere convertito in legge, ma, al di là del suo destino finale, non può non essere oggetto di un’ attenta analisi pedagogica. Mi limito a tre considerazioni. La prima. Usare lo strumento della decretazione d’ urgenza per cambiare radicalmente il volto della scuola appare un’ operazione del tutto inaccettabile. Nessun Governo, quale che fosse la sua collocazione politica e la forza della sua maggioranza l’ aveva mai fatto prima d’ ora nella storia repubblicana. La scuola è un patrimonio di importanza fondamentale per tutti i cittadini, la sua trasformazione non può non essere accompagnata da momenti adeguati di discussione pubblica nei quali ascoltare e confrontare i differenti punti di vista, bisogni, valori. Decidere d’ urgenza e solo d’ autorità su di un servizio così delicato e per sua natura interculturale significa sempre e comunque decidere male. La seconda. Pensare che sia positiva la reintroduzione del voto in decimi per valutare il rendimento scolastico e nel contempo prevedere il voto “di condotta”, sempre in decimi, con la possibilità di bloccare il percorso degli studenti che non arrivino alla sufficienza in quest’ ultimo ambito, rappresenta una scelta per così dire da “pensiero debole”: tecnicamente oltre che pedagogicamente risibile, se non si prestasse ad usi scriteriati. In qualsiasi università, uno studente che presentasse queste scelte come funzionali ad un miglioramento della qualità del rendimento e del comportamento degli studenti verrebbe trattato come una matricola impreparata. Il problema non sta nelle forme del giudizio, ma nel modo in cui ci si arriva, nel come si riesce ad insegnare e a costruire la socializzazione e l’ apprendimento dei ragazzi: limitarsi a restaurare le modalità per constatare e sanzionare le loro lacune e indiscipline è un’ operazione che corrisponde semplicemente al desiderio di riversare ogni responsabilità sugli studenti, sulle loro famiglie, sul loro ambiente di vita; alla scelta di eliminare dalla scuola chi dà fastidio, chi parla e pensa in modo diverso dalla cultura dominante. In definitiva, chi dovrebbe essere oggetto di cura, non di sanzione. Ed è un vero peccato che autorevoli opinionisti, anche normalmente illuminati, si siano fatti contaminare da questa voglia di restaurazione burocratica, di militarizzazione delle scuola. La terza. Reintrodurre il maestro “unico” nella scuola primaria significa negare l’ evidenza di un panorama culturale che si è fortemente diversificato in questi anni richiedendo preparazione disciplinare e didattica specifica. Ipotizzare che tre insegnanti su due classi siano uno spreco, siano stati previsti a suo tempo solo per motivi occupazionali è un falso storico. Gli studenti della scuola primaria non hanno bisogno di una chioccia superficialmente tuttologa: necessitano di stimoli culturali forti, di modelli di adulto diversi, di un team di educat ori che progetti e operi collegialmente. Si sprecano le rassicurazioni da parte del Governo sulla sopravvivenza del tempo pieno e di altre forme di copertura dei bisogni delle famiglie: ma con quali soluzioni? Impegnando le poche risorse lasciate agli Enti Locali per il diritto allo studio? Ritornando al famigerato “doposcuola”?
LUIGI GUERRA

Preside Facoltà Scienze della Formazione – Bologna
da Repubblica – 27 settembre 2008 – sezione BOLOGNA